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Head Hunter star del web. Recruiter fenomenali. Forse troppo?

Recruiter e head hunter, si stanno trasformando in star del web?

Ormai da molti anni osservo il mondo variegato del recruitment e delle Agenzie per il lavoro e selezione. La mia esperienza come candidato con gli head hunter, le agenzie di selezione e affini non ha mai portato a nulla. L’unica cosa che ha sempre funzionato bene è stato il contatto diretto con l’azienda. Forse è solo colpa o merito mio.

Con la crisi dal 2010 ho riprovato umilmente a dare fiducia a questa categoria professionale, mi sono accorto che le cose erano ulteriormente peggiorate. I clienti di queste agenzie si comportavano come se fossero delle star, per il solo fatto di offrire un lavoro.

I recruiter li vedevo provati dalla crisi, posso solo immaginare cosa potessero vedere. Clienti esaltati, candidati depressi o inferociti, il rischio di perdere loro stessi il lavoro. Tutto questo su alcuni aveva avuto un effetto positivo, li sentivo più vicini, più umani.

Il passaggio dalle seriose selezioni di lavoro agli show.

Poi, piano piano, ho iniziato a notare che alcuni recruiter, mossi dalla crisi del loro settore, stavano usando la loro attrattiva nei confronti di chi cercava lavoro per diventare delle piccole star. Non mi riferiscono a un normale employer branding per migliorare la web reputation come, ad esempio, quello fatto da Adecco con le sue ottime analisi sul social recruiting.

Ci sono in giro dei recruiter che, sulla scia di provocazioni e contenuti virali, puntano principalmente alla vendita di libri e libretti per trovare lavoro o alla vendita di corsi.

Sono contento per loro, stanno riuscendo così a sopravvivere alla crisi che ha colpito anche il loro settore. Mi domando però se sia corretto che si definiscano ancora recruiter o head hunter?

È corretto che sfruttino i contatti, di chi gli invia i curriculum o di chi gli chiede il contatto su Linkedin, sperando di trovare un lavoro, per vendere corsi e libri?

Alcuni arrivano anche a tenere offerte di lavoro scadute per prendere più email da utilizzare, non per offrire lavoro, ma per vendere i loro servizi o contenuti.

Questi head hunter hanno quindi capito fin troppo bene l’importanza del self branding. Con abili provocazioni da marketing virale fanno un personal branding discutibile, con la scusa di fare employer branding.

Ci sono aziende che si sono addirittura inventate le selezioni di lavoro trasformate in show sul web, con tanto di video Cv pubblici da votare.

Conclusione

Non mi sento di giudicare, la crisi è brutta per tutti. Però, quando si vuole fare incetta di email o di contatti su Linkedin, bisognerebbe chiarire il proprio ruolo.

Ottenere risultati ingannando chi è in difficoltà, anche se non crea rimorsi in alcuni, non credo che porti lontano.

Fare il commerciale è un bellissimo mestiere, basta saper ascoltare, capire, essere corretti, competenti e chiari. Sono stato per anni un “venditore” e lo sono ancora, lo scrivo anche nel mio profilo Linkedin. L’importante è non creare ambiguità facendo credere di essere altro per vendere.

Quando vado da un recruiter, o da un medico, o da un farmacista, e mi accorgo che fa soprattutto il venditore, mi preoccupo molto. I conflitti di interesse possono essere molto pericolosi, specialmente quando non vengono dichiarati preventivamente.


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Enrico Filippucci
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