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Falsi miti del risparmio gestito, fondi comuni d’investimento e ETF

1. Il boom del Risparmio Gestito e dei Fondi Comuni.

Il risparmio gestito può avere diverse forme, quello più conosciuto in Italia dai piccoli risparmiatori è l’investimento tramite i Fondi Comuni. Come vedremo, negli ultimi anni i fondi passivi e gli ETF hanno avuto una crescita ancora più forte.

Il risparmio gestito sta diventando la fonte principale di reddito per le istituzioni finanziarie. I bassi tassi di interesse e la difficoltà nel farsi ripagare i prestiti, hanno costretto le banche a spingere questo tipo di investimento in maniera sempre più aggressiva.

I risparmiatori e i piccoli e investitori hanno un grosso problema: i rendimenti bassi o negativi dei titoli di Stato non ripagano adeguatamente il rischio e non fanno guadagnare. Quindi, per avere dei rendimenti decenti, devono trovare alternative ai titoli di Stato.

Forti interessi economici spingono, oltre il lecito, l’investimento in Risparmio Gestito e Fondi Comuni.

Spesso mi capita di sentire in televisione o di leggere sui giornali vere e proprie pubblicità occulte e ingannevoli a favore del risparmio gestito. Queste pubblicità occulte sono mascherate da informazioni finanziarie o dibattiti che in pratica spingono verso l’investimento in fondi.

Alcuni amici mi raccontano che sono messi sotto pressione dalla loro banca, che vorrebbe che affidino i loro risparmi al risparmio gestito. In pratica le Banche trovano ogni scusa per provare a vendere ai loro correntisti i fondi di investimento delle loro SGR (Società di Gestione del Risparmio) o di quelle che hanno convenzioni con la banca.

Non sono contrario al risparmio gestito. Ci sono gestori molto capaci che hanno rendimenti superiori ai benchmark dei mercati di riferimento.

Come capire se il gestore di un fondo è bravo?

Per sapere se un fondo è gestito bene si può confrontare la sua performance con fondi simili concorrenti e con il rendimento medio dei mercati su cui investe, il così detto “benchmark portfolio”.

Ad esempio, supponiamo che il gestore abbia investito il 50% in azionario Italia e il 50% in azionario Cina. Se il gestore è stato bravo deve avere superato il rendimento medio di questi due mercati. Altrimenti sarebbe stato meglio investire direttamente in quei mercati.

Il benchmark portfolio è disponibile per ogni fondo di investimento, però rappresenta il rendimento passato, mentre il futuro non lo conosce nessuno. Un fondo, che ha fatto bene in passato, potrebbe fare molto male in futuro o viceversa.

D’istinto, non darei i miei risparmi a chi ha fatto esageratamente bene per poco tempo né tanto meno a chi ha già fallito. Entrambi potrebbero avere preso dei rischi troppo grandi, questo però è un ragionamento parziale, la realtà è molto più complessa.

I motivi, più o meno veri, per cui un risparmiatore dovrebbe investire in un fondo comune d’investimento, sono comunicati ossessivamente sui canali televisivi, sulle radio e sui giornali. Chi decidesse di affidarsi al risparmio gestito lo deve fare basandosi sui fatti, non su quello che vogliono fare credere i venditori espliciti e occulti. La classica pubblicità è spesso più affidabile e controllata dei dibatti dei cosiddetti esperti e dei consigli di molti opinionisti e alcuni giornalisti finanziari.

2. I falsi miti, creati dai media, su risparmio gestito e fondi comuni d’investimento:

I concetti espressi dalle frasi sottostanti sono divulgati su tutti i media nazionali e locali ma, come vedremo, alcuni sono falsi e altri sono fuorvianti. Sfatando questi miti, cercherò di spiegare come ridurre alcuni rischi senza farsi spennare.

  1. Per diversificare, un piccolo risparmiatore, deve affidarsi al risparmio gestito.
  2. Per ridurre il rischio si deve diversificare a livello mondiale tramite il risparmio gestito.
  3. Un paio di fondi comuni d’investimento, o di ETF, sono un’ottima diversificazione.
  4. I gestori dei fondi sono mediamente più bravi del singolo investitore.
  5. È più facile scegliere un fondo comune d’investimento piuttosto che scegliere un titolo azionario o un’obbligazione.

a) Per diversificare, un piccolo risparmiatore, deve affidarsi al risparmio gestito.

Questo “dogma” è il più diffuso nelle trasmissioni televisive e in radio. Nessuno degli esperti o dei giornalisti in studio osa metterlo in dubbio. Ma è falso, perché non è vero che un piccolo risparmiatore per diversificare è costretto ad affidarsi al risparmio gestito.

Il piccolo risparmiatore può facilmente diversificare da solo il suo portafoglio investendo in Italia.

Ci sono azioni quotate in Italia di multinazionali italiane, che producono utili in quasi tutto il mondo. Molte di queste aziende hanno anche parte della produzione all’estero. Quindi, i loro utili dipendono poco dal mercato italiano. Ad esempio, potrei comprare azioni di multinazionali italiane del settore meccanico, del lusso, del settore energetico e del settore alimentare.

Le azioni delle più grandi società estere sono quotate in Borsa Italiana.

La Borsa Italiana ha un segmento di mercato dedicato alle azioni Internazionali, il Global Equity Market, GEM. In questo segmento, dell’MTA di Borsa Italiana, sono quotate soprattutto alcune grandi aziende tedesche, francesi e statunitensi. La lista delle azioni quotate nel segmento GEM è di poco inferiore ai 100 titoli ma ci sono quasi tutte le più grandi società quotate europee e statunitensi.

Sul segmento GEM normalmente si pagano le stesse commissioni del Mercato Telematico Azionario di Borsa Italiana. Tuttavia, i volumi sono bassi e, nonostante sia previsto l’intervento di specialisti che contribuiscono alla liquidità dei singoli titoli, lo spread tra offerta e domanda è di solito un po’ più alto rispetto ai mercati con più volumi.

Oltre alle basse commissioni, l’altro vantaggio del segmento Global Equity Market di MTA sono le quotazioni direttamente in euro. Quindi, le quotazioni delle aziende straniere quotate in dollari o yen vengono convertite in euro sul GEM. Attenzione però, il rischio cambio non si elimina, si semplifica solo l’operatività. Anche questo servizio è pagato con lo spread tra il prezzo del titolo sui mercati originali e quello sul GEM.

Quindi, si risparmia sulle commissioni e non si deve accedere a nuovi mercati azionari e a nuove valute ma conviene solo per piccoli investimenti occasionali.

Si può investire direttamente sui principali mercati esteri.

Per fare investimenti consistenti o frequenti in titoli azionari esteri, conviene attivare un servizio di trading diretto sul mercato estero.

Ad esempio, utilizzando una normale banca online italiana, si può fare trading online investendo direttamente dall’Italia in azioni e obbligazioni quotate sui principali mercati europei e nord americani. Ad esempio, chi non si fidasse dell’euro, potrebbe decidere di investire dall’Italia direttamente in USA in dollari. Diversificando così anche la valuta ma aggiungendo i rischi di cambio all’investimento.

In questo caso le commissioni sono di solito un po’ più alte ma i volumi sono normali.

Chi volesse diversificare comprando direttamente obbligazioni statali mondiali è facilitato.

I piccoli investitori possono comprare quasi tutti i titoli di stato nazionali e internazionali direttamente sul Mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato, il MOT di Borsa Italiana. I titoli esteri si trattano nel segmento EuroMOT del MOT. Esiste anche un mercato alternativo gestito da una grandissima SIM lEuro TLX.

Comunque, prima di avventurarsi su titoli obbligazionari ad alto rendimento, bisogna ricordarsi che è facile comprare bond di paesi con valute che collassano o peggio falliscono, come accadde per l’Argentina. Il rischio di titoli denominati, direttamente o indirettamente, in valute deboli è sempre alto.

Il mercato italiano Euro TLX è interessante, quota più di 4.000 strumenti finanziari negoziati in 15 valute diverse, tra cui moltissime azioni europee. Quasi tutte le banche italiane permettono ai loro clienti di comprare e vendere obbligazioni su Euro TLX.

Invece, non tutte le banche permettono di usare Euro TLX per le azioni estere. Ovviamente, anche Euro TLX ha uno spread maggiore di quello nei mercati esteri d’origine. Tuttavia, ho notato che per le azioni, Euro TLX ha uno spread minore e volumi maggiori di quelli della stessa azione sul Global Equity Market. Però, nel mio caso, le commissioni sul mercato azionario, con la banca che non usa Euro TLX per le azioni, sono molto più basse. Quindi, ognuno deve fare i suoi conti per capire dove gli conviene comprare e con quale banca operare.

Chiaramente i rischi rimangono gli stessi indipendentemente da dove si comprano i titoli, diversificare con titoli diversi non vuol dire necessariamente ridurre il rischio.

b) Per ridurre il rischio si deve diversificare a livello mondiale tramite il risparmio gestito.

Questo falso mito è costruito aggiungendo a una mezza ovvietà una bugia. A supporto di questa tesi, i vari commentatori prezzolati, fanno vedere come le borse mondiali perdono mediamente meno di una singola borsa nei periodi di crisi. Però non fanno vedere che gli indici mondiali vanno mediamente peggio quando le cose vanno bene. Diversificando sugli indici mondiali si riduce forse il rischio ma si riduce in proporzione anche il potenziale guadagno.

In questo modo cercano di spingere verso fondi che operano su mercati o indici che sono difficili o impossibili da acquistare per un piccolo risparmiatore, senza che il risparmiatore abbia un reale vantaggio.

Infatti, il piccolo risparmiatore può ridurre enormemente il rischio diversificando bene, anche senza investimenti in costosi fondi a gestione attiva.

  • Si può restare sui titoli di stato e diversificare il rischio su diverse aree geografiche. Basta fare un mix di titoli di stato tedeschi e USA senza comprare fondi, per avere un rischio bassissimo e un rendimento altrettanto basso. Chi cerca più rendimento può aggiungere anche qualche azione.
  • Se si volesse diversificare senza ridurre i rischi, e quindi senza ridurre i potenziali rendimenti, si torna a quanto ho già spiegato nel capitolo precedente.
  • Esiste una terza possibilità, che è una via di mezzo tra un fondo comune e un titolo azionario. Gli Exchange Traded Funds (ETF) sono strumenti finanziari di risparmio gestito. Gli ETF sono quasi uguali ai fondi indicizzati, i fondi comuni d’investimento con hanno una “gestione passiva”. L’unica differenza è che gli ETF sono quotati in borsa in tempo reale, mentre i fondi indicizzati fanno prezzo a fine giornata. Visto che gli ETF sono scambiati in mercati organizzati, possono essere comprati direttamente e facilmente anche dal piccolo risparmiatore.

c) Un paio di fondi comuni d’investimento, o di ETF, sono un’ottima diversificazione.

Questo è forse il falso mito più pericoloso. Un risparmiatore potrebbe essere indotto a pensare che, ad esempio, comprando solo un fondo comune d’investimento e un ETF, sta diversificano il suo portafoglio perfettamente. L’errore in questo caso è indotto dal pensare di essere protetti come se fossero stati comprati direttamente i titoli, i beni o i prodotti finanziari sottostanti.

Attenzione, anche se un fondo o un ETF investono in tutto il mondo e in diverse asset class, bisogna sempre ricordarsi che sono strumenti finanziari gestiti e emessi da qualche società. Quindi non si può escludere che le società emittenti possano fallire possano fallire. Ci si espone a un rischio non trascurabile anche se si comprano fondi diversi da uno solo emittente.

Un’informazione che potrebbe essere fuorviante è la classificazione del grado di rischio dei fondi d’investimento. Ad esempio, Assogestioni, l’Associazione del Risparmio gestito, ha fatto una classificazione dei fondi in classi di rischio. Questa classificazione è sicuramente utile per farsi un’idea di massima ma non va preso alla lettera.

La classificazione dei fondi in classi di rischio è fatta basandosi principalmente sulla volatilità passata dei fondi. Nessuno ci può garantire la volatilità futura e soprattutto nessuno ci può garantire dagli imprevisti e dalle truffe.

La liquidità dei fondi aperti non sempre può essere garantita.

Anche se i fondi non dovessero mai fallire, i fondi aperti potrebbero bloccare improvvisamente i riscatti degli investitori. Lo possono fare come ultima mossa disperata, in situazioni di elevato stress dei mercati o del fondo stesso, per impedire deflussi di capitali troppo grandi.

In questi casi, come minimo, gli investitori non hanno più la disponibilità dei soldi investiti. Di solito, dopo qualche mese il fondo viene liquidato e gli investitori perdono quasi sempre buona parte del capitale investito.

L’ultimo episodio, identico al 100% a quanto ho appena descritto, è successo a giugno 2019 al fondo inglese flagship di Neil Woodford. Il fondo gestiva asset per 10 miliardi di sterline, ora è ancora congelato e vale circa 3 miliardi di sterline, e a gennaio sarà liquidato.

ETF e fondi indicizzati a gestione passiva riducono i costi ma possono aumentare i rischi.

In un fondo indicizzato e in un ETF, la gestione passiva significa che il gestore o il computer cerca solo di replicare l’andamento del prezzo dell’indice di riferimento, o della materia prima, o del titolo usato come riferimento. In questo modo si può evitare il rischio del gestore incapace. Rimane però il rischio del fallimento dell’emittente del fondo o dell’ETF.

Teoricamente il fallimento dell’emittente dovrebbe essere impossibile, per le coperture adottate e per i capitali di riserva. In pratica, nel caso di una crisi finanziaria o per le frodi, il rischio di fallimento dell’emittente non si può eliminare completamente.

Quando, si creano dei forti squilibri sui mercati finanziari, non tutti riescono a coprirsi adeguatamente soprattutto sui mercati o sui titoli meno liquidi. Il brusco ritorno all’equilibrio del sistema finanziario può fare molte vittime. Proprio per questo motivo, i prodotti finanziari a gestione passiva e i PIR possono diventare una fonte d’instabilità per i mercati finanziari.

Ad esempio, comprare tutte le azioni di un indice direttamente è costoso ma è più sicuro che comprare solo l’ETF, o il fondo indicizzato, che riproduce l’indice. Questo perché è impossibile che falliscano tutte le azioni dell’indice contemporaneamente ma è possibile che fallisca l’ETF o il fondo d’investimento che li ha emessi.

Un fondo o un ETF potrebbero fallire per vari motivi:

  • Le coperture utilizzate dall’ETF, o dal fondo indicizzato, possono essere fatte con derivati rischiosi e non con vere coperture. Quindi, in caso di forti oscillazioni di mercato potrebbero fallire.
  • Il gestore del fondo comune, a gestione attiva, prende troppi rischi e porta il fondo al fallimento.
  • Perché un altro prodotto, di solito ad alto rischio, dello stesso emittente subisce perdite enormi, facendo fallire l’emittente, mettendo in evidenza eventuali anomalie nascoste nella vigilanza e nelle coperture.
  • L’emittente del fondo potrebbe fallire per una truffa. I dipendenti o i proprietari dell’emittente del fondo potrebbero fare una truffa o semplicemente potrebbero aggirare le regole. Questo potrebbe portare al fallimento del fondo comune d’investimento o del ETF.

I nomi più famosi di emittenti falliti, con molti dei loro fondi, sono forse Lehman Brothers e Bernie Maddof. Il rischio che fallisca un emittente, e non vengano salvati i clienti, è di solito molto basso ma bisogna esserne consapevoli. C’è spesso la speranza che intervenga qualcuno per salvare, almeno parzialmente, gli sfortunati o incauti investitori, ma non sempre accade:

L’emittente Lehman Brothers, aveva la tripla A quando è fallita nel 2008, la classe di rischio più bassa per un istituto finanziario. Inoltre, nella crisi finanziaria del 2008, i problemi maggiori erano nascosti nei fondi monetari, quelli teoricamente più sicuri. Non si può escludere che una nuova crisi finanziaria, simile a quella del 2008, possa di nuovo avvenire, i segnali di preoccupazione già ci sono.

Ovviamente, si può diversificare seriamente tramite i fondi comuni d’investimento o gli ETF, ma si devono diversificare accuratamente anche gli emittenti.

d) I gestori dei fondi sono mediamente più bravi del singolo investitore.

Questa affermazione è teoricamente mediamente vera, ma praticante è mediamente falsa. Di sicuro i gestori sono spesso più bravi del singolo investitore, me compreso. La loro bravura deriva teoricamente dal lavoro di squadra, dalle informazioni che hanno a disposizione e dalla selezione a cui sono sottoposti. I rendimenti “reali lordi” di un gestore professionale, ovvero quelli prima di caricare le spese del fondo e le spese per piazzare il fondo alla clientela, sono spesso ottimi.

Il gestore del fondo deve essere molto bravo per compensare i costi.

Ad esempio, se il gestore portasse a casa un 10% di rendimento “reale lordo” annuo del fondo, superando il benchmark portfolio del 5%, sarebbe un risultato ottimo per il gestore e teoricamente anche per il risparmiatore. Però, da quella cifra guadagnata, bisognerà togliere il costo della struttura e lo stipendio del gestore. Supponendo che ci costi il 3%, ci rimarrebbe il 7%. Supponiamo poi che il collocamento del fondo sul cliente si mangi un altro 6%.

Riassumendo, con il fondo gestito da un bravo gestore, tolte le spese, avremmo ottenuto un rendimento dell’1% (10%-3%-6%=1%). Invece, se avessimo messo i soldi nel benchmark portfolio, ovvero lo stesso portafoglio o lo stesso indice, senza fare niente avremmo guadagnato il 5%.

Quindi, la bravura di un gestore “è ridotta dai costi” e quindi un investimento diretto potrebbe essere più conveniente.

Se non si punta a superare il rendimento del benchmark portfolio ci sono gli ETF.

I costi degli ETF e dei fondi indicizzati sono più bassi di quelli di un fondo gestito attivamente ma anche loro hanno spesso costi nascosti più o meno alti. Il gestore, nel caso degli ETF, può essere solo un computer che si limita a replicare in tempo reale l’indice sottostante o la materia prima, o quello che è l’oggetto dell’ETF. I costi sono più bassi anche perché gli ETF sono acquistabili direttamente in borsa, con un prezzo che varia costantemente durante la giornata borsistica.

Sia i fondi comuni che gli ETF amano nascondere i costi alla clientela, ma i fondi comuni d’investimento hanno dei costi più elevati. Solo i gestori di fondi molto bravi o molto fortunati riescono a dare un rendimento migliore del benchmark portfolio.

Un investitore privato, meno bravo o con meno informazioni e strumenti di uno professionale, potrebbe ottenere un rendimento netto migliore. I minori costi compenserebbero in alcuni casi le sue debolezze.

Nella realtà i gestori veramente bravi per molti anni sono pochi. Ci sono invece molti gestori mediocri, qualche gestore pessimo o disonesto e moltissimi investitori privati pessimi. Quando si finisce in una di queste ultime categorie, alla lunga, le perdite sono sempre sicure.

La tassazione va tenuta in considerazione, prima di decidere in cosa investire e dove investire.

Investendo dall’Italia in Italia o nel mondo, anche la tassazione dei prodotti finanziari, delle azioni, delle obbligazioni, ecc., può determinare la differenza tra un rendimento reale buono e uno scarso.

In particolare, i piccoli risparmiatori italiani, quando riescono a sfuggire alla disinformazione e ai raggiri, sono tassati più dei grandi capitalisti italiani. La tassazione in Italia delle rendente finanziarie è un parametro da prendere in considerazione prima di decidere un investimento. L’articolo che ho linkato qui sopra spiega anche dove e in cosa è più conveniente investire da un punto di vista fiscale.

e) È più facile scegliere un fondo comune d’investimento piuttosto che scegliere un titolo azionario o un’obbligazione.

La maggior parte delle persone crede sia più facile evitare di fare errori scegliendo un fondo d’investimento piuttosto che una singola azione o una singola obbligazione. Questa visione è frutto solo di un pregiudizio prodotto dalla disinformazione. Quello che ho detto in precedenza credo sia già sufficiente a dimostrare che non esiste una scelta facile a priori.

Ad esempio, supponiamo che volessimo solo garantire il capitale, senza puntare a incrementarlo, la scelta non è mai facile. Le quantità di fondi comuni d’investimento, compresi ETF e altri fondi passivi, è comparabile con la quantità di titoli azionari e obbligazionari disponibili sui mercati mondiali. Esistono attualmente circa 80.000 fondi comuni d’investimento nel mondo, di cui oltre 9.000 sono Mutual Fund Statunitensi. Le aziende quotate in borsa nel modo sono circa 45.000. Aggiungendo anche le obbligazioni, si vede che i numeri tra cui scegliere sono comparabili.

Nessuno può sapere oggi quali fondi comuni, esisteranno sicuramente tra due anni. Mentre, ad esempio, quasi sicuramente le obbligazioni tedesche e americane esisteranno tra due anni. Secondo me anche alcune blue chip quotate negli Stati Uniti, esisteranno quasi sicuramente tra due anni. Personalmente, avrei più difficoltà a dire quale fondo di investimento esisterà quasi sicuramente tra due anni, visto che ci sono di mezzo gli emittenti.

Se invece, ad esempio, si volesse un rendimento del 5% all’anno per due anni, è facile capire che è impossibile dire quali siano le scelte più facili.

Quindi, scegliere i fondi d’investimento, in generale, è difficile e rischioso quanto valutare le aziende per fare investimento azionari o obbligazionari.

3. Conclusioni.

Non c’è una scelta giusta è una sbagliata tra investire in fondi comuni, in ETF o investire da soli. Ci sono due modi per imparare, con la teoria o con gli errori, purtroppo si impara più spesso con gli errori.

La tipica frase “evitate il fai da te” non ha molto senso, perché alla fine dobbiamo sempre fare delle scelte che hanno pro e contro. Invece, bisogna evitare di essere ignoranti in campo finanziario.

Non possiamo evitare di scegliere e questo richiede sempre conoscenza e abilità.

Saper scegliere un titolo, un fondo, un gestore o consulente, fa la differenza tra una perdita e un guadagno. Anche decidendo di comprare solo fondi comuni di investimento espone a dei rischi e richiede delle scelte difficili.

Persino capire i costi dei fondi è complicato. Chi spera che l’entrata in vigore dalla MIFID2 renderà più trasparenti almeno i costi, temo verrà deluso. Sono anni che viene studiata dagli operatori finanziari e l’obiettivo comune credo sia continuare a nascondere i costi. La strategia credo sarà sempre la stessa, omissis provvidenziali di alcuni dati fondamentali o un mare di pagine dove nascondere i costi.

Puntare solo sui prodotti finanziari passivi, solo per evitare i costi dei fondi a gestione attiva, potrebbe aumentare alcuni rischi.

Fidarsi ciecamente dei consulenti espone ad altri rischi. Chi vende i fondi comuni d’investimento, potrebbe non essere un bravo consulente o dovrà cercare di vendere al cliente quello che gli dicono di vendere. Oppure potrebbe cercare di farvi comprare i fondi che gli danno maggiori commissioni.

Ci sono ovviamente molti professionisti seri e preparati. Questi professionisti, nonostante le pressioni o gli interessi economici, hanno a cuore l’interesse del cliente. Non sono idealisti, sanno che il cliente è la cosa più importate. Una volta persa la fiducia del cliente, lo si perde per sempre.

Tuttavia, persino con i migliori consulenti finanziari, bisogna essere in grado di capirli, di comunicare le proprie necessità e alla fine di decidere in prima persona. Delegare tutto è molto rischioso.

Quindi, in ogni caso, dobbiamo migliorare o mantenere aggiornata la nostra cultura finanziaria e differenziare veramente gli investimenti. Non è semplice ma si può fare.

Post-Scriptum, il Richiamo Consob.

Poco dopo la pubblicazione di questo post sui social network più noti, il 13-7-15 la Consob aveva emesso un comunicato stampa, in cui informa di aver inviato un richiamo, scritto il 10-7-15, agli OICR Organismi di investimento collettivo del risparmio: “Richiamo di attenzione della Consob nei confronti degli intermediari distributori di fondi esteri ed estero-vestiti, che rappresentano il 70% circa del patrimonio dei fondi collocati in Italia”. Con oggetto: Strutture commissionali degli OICR distribuiti alla clientela retail e regole di condotta – Richiamo di attenzione.

Richiamandoli al rispetto della normativa Mifid per la prestazione dei servizi di investimento. La Consob ha ricordato che “la selezione dei prodotti da offrire o consigliare alla clientela non può fondarsi su valutazioni di mero vantaggio economico per l’intermediario, ma deve essere rivolta prioritariamente a soddisfare gli interessi dei clienti serviti”.

La Consob “intende, quindi, richiamare gli intermediari distributori di fondi caratterizzati da meccanismi commissionali più vantaggiosi per i gestori e per gli stessi distributori ad individuare e a gestire i conflitti di interesse che ne derivano”. In parole povere, sembra che tutti cerchino di vendere fondi di diritto estero perché danno commissioni maggiori all’intermediario. La Consob se ne accorge quando ormai i fondi esteri ed estero-vestiti rappresentano il 70% dei prodotti venduti nel comparto del risparmio gestito.

Il giorno dopo il 14-7-15, c’è stato un crollo dei titoli del risparmio gestito. Lo ha causato questo semplice e, pressoché inutile, richiamo della Consob, sul conflitto di interessi di chi colloca i fondi e sulle significative differenze nel profilo delle “commissioni di incentivo” tra fondi esteri e fondi italiani.


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